giovedì 24 agosto 2017

Populisti ovunque

  “Populismo”, termine divenuto ricorrente fino alla noia nella comunicazione mediatica, compresa quella di certi filosofi e del papa, dovrebbe ormai essere esteso a qualunque discorso e provvedimento politico che, con ogni probabilità, non si tradurrà in una maggiore democrazia, non migliorerà per nulla la condizione generale della popolazione, semmai il contrario. Ciò, va da sé, in contraddizione con quanto i politici pensano, o forse soltanto con quanto dicono. Anche quelli che accusano altri di essere populisti potrebbero benissimo rientrare nella categoria. Si può star certi che ne sia del tutto estraneo solo chi ha una filosofia dei fini politici e una conoscenza dei mezzi per raggiungerli tali da renderlo, oltre che efficace, perfettamente sincero e onesto. Insomma, l’eccezione laddove dovrebbe essere la regola.

lunedì 21 agosto 2017

Antichi regimi

   In uno Stato retto da un regime autoritario, verso il quale la fiducia della popolazione dev’essere totale, dove glorificare il capo è obbligo, chi critica o dissente è punito con la massima durezza, i partiti d’opposizione sono illegali e il parlamento non c’è, o è sottomesso, non basta che una parte più o meno considerevole dei provvedimenti presi dall’autorità sia buona e giusta: per giustificare una tale assolutezza, il governo dovrebbe essere infallibile. Com’è noto, però, l’infallibilità non rientra nelle qualità umane, e l’errore ha conseguenze tanto più disastrose quanto più grande è il dominio di chi lo commette. Ciò spiega in gran parte il destino fallimentare di questi regimi. Le cose vanno meglio, quanto a durata, laddove una popolazione creda in un grande e giusto dio, il quale abbia dettato le spiegazioni e i regolamenti fondamentali a uno o più uomini, profeti o discepoli, e della cui volontà il governo politico sia il tramite temporale. Questo dio sarebbe infallibile per sua natura, e non credere in lui, bestemmiarlo o disprezzare il suo rappresentante sono reati capitali. Secondo le diverse religioni, fu così ovunque nel mondo per tutto il medioevo, e negli Stati islamici così è tutt’oggi, mentre la Chiesa non riuscì a reprimere la libertà di pensiero rinata, a gran distanza dall’epoca classica, fra Quattro e Cinquecento. Nulla fu più indubitabile, nemmeno l’esistenza di Dio: l’ordinamento fondato sul cristianesimo si sgretolò dalle fondamenta. Dopo il fallimento della Restaurazione, cominciò l’epoca della frammentazione ideologica, in cui posizioni conservatrici, liberali, comuniste, anarchiche, fasciste si contrapposero dapprima a parole, poi con i fatti, tra cui due guerre mondiali e il rischio di una terza. Si è infine creata l’attuale omogeneità politica tra molti Stati attorno a un sistema pluralista, con poteri separati e rinnovati a scadenze prefissate, parte dei quali a suffragio democratico; prevalgono generalmente forze moderate rispetto alle principali teorie, a discapito di quelle radicali. Non manca alcun genere di dissenso, ma quando ai mali vecchi e nuovi di cui tuttora soffrono le società contemporanee si vorrebbe ricorrere a ricette anacronistiche, dagli esiti come minimo ambigui, esso non merita alcuna considerazione, men che meno quando si cerca di imporle con la violenza.
  Se l’ordinamento cambierà di nuovo, sarà per una forte convergenza evolutiva delle idee fondamentali, e ciò potrebbe rendere la partecipazione all’attività legislativa ed esecutiva equiparabile a ogni altra professione, sebbene in una posizione di particolare rilievo. La selezione per esami di competenza eliminerà i fattori estranei alla sostanza politica che intervengono attualmente per catturare il consenso di massa, a suon di retorica e di lauti finanziamenti. La probabilità dell’errore sarà fortemente ridotta, ma nel caso il politico ne risponderà in termini di arretramento di carriera, di esclusione dal ruolo o di pena, a seconda della gravità, com’è previsto per qualunque altro cittadino.

martedì 15 agosto 2017

I due capi del filo

  Io sono nato il 3 maggio del 1963. Però questo non significa che il due, il primo maggio, il 30 aprile di quell’anno io non esistessi, al contrario, non ero diverso se non perché a una cert’ora di quella data cambiai definitivamente posto, dall’interno di mia madre mi ritrovai all’esterno, venni alla luce. Immaginando di osservare a ritroso, da quel momento, le fasi del mio sviluppo, vedo cominciare e poi aumentare le differenze; a un certo punto non riconosco più nel mio aspetto quello di un essere umano. Ancora più indietro, e di me, o di quell’entità che diverrà la mia persona, non vi è più traccia, e restano le sue cause: un uomo e una donna che abitano nella stessa casa, che dormono nello stesso letto matrimoniale dove, una volta di più, avranno un rapporto completo. Vengono poi le cause delle cause, come radici che si suddividono in altre radici, e in altre ancora, fino a che mi diventa impossibile conoscerle e tenerne il conto. La gravidanza di mia madre fu del tutto regolare, perciò nel novembre del 1962, passato dall’essere embrionale a quello fetale, tutti i miei organi erano formati, avevo già le fattezze di un essere umano. Ecco quel che mi fa propenso a datare da quel momento l’inizio della mia esistenza, e ad ammettere l’interruzione volontaria di gravidanza, senza che se ne debbano indagare i motivi, non oltre le sette settimane dal concepimento. Dopo, non è più possibile eseguirla tramite farmaco, e i rischi dell’intervento per la salute della gestante aumentano. Nelle normative di molti Stati prevale quest’ultimo aspetto, con varie approssimazioni: si va dalle dieci settimane del Portogallo alle ventidue dei Paesi Bassi. Si direbbe che se la tecnica potesse abbattere il rischio, la soglia legale sarebbe alzata, o esclusa del tutto, com’è già, chissà perché, in metà degli Stati Uniti. È dunque diffusa una scarsa distinzione tra l’inizio dell’esistenza e l’essere partoriti; rispetto alla sua antitesi, il porre l’inizio dell’essere umano nel giorno del concepimento, quest'opinione appare ancor più povera di pensiero. Fanno eccezione casi come la sindrome di down, diagnosticabile oggi non prima delle undici settimane, e ovviamente quelli delle complicazioni potenzialmente letali per la gestante.
   All’altro capo del filo, alla fine, mi attende un’altra data. Stavolta non dovrebbe porsi alcun divario, morire e non essere più sono lo stesso. Non mancano quaggiù circostanze particolari, che di nuovo manifestano opposte mentalità. Gli ospedali sono forniti di apparecchiature che tengono in vita persone gravemente malate o incidentate, sostituendo la perduta facoltà di alimentarsi, idratarsi o respirare; ma quella vita è tanto penosa e limitata da sembrare tutt’altro che un guadagno. Dopo un certo tempo, in molti casi, esse rivogliono ciò che tali mezzi hanno scongiurato. Per costoro, il giorno della morte rinviata precede quello della morte desiderata. La prima, se non è trovata una cura efficace, e se non abbia annientato coscienza e sensibilità, è morte dello spirito, inteso come volontà di vivere. Possono esserne causa non solamente le irreparabili lesioni del sistema nervoso e muscolare, ma anche quelle psicologiche, quando siano tali da rendere insopportabile la percezione di sé e del mondo. Tuttavia l’esistenza, l’essere in un modo, spazio e tempo determinati, pur trascinandosi prosegue, mentre dopo la data che probabilmente qualcun altro, da qualche parte, scriverà, quel che resta non è più, non è mai lo stesso essere. Io non mi identifico con una massa inanimata, con un cibo per larve di insetti, con le future, ignote composizioni delle mie particelle subatomiche e onde di energia, con qualsivoglia effetto che mi sopravviva, prodotto dal mio essere sull’altro. Certo, in senso poetico, se per i suoi effetti principali una vita merita un’estesa riconoscenza, può continuare anche sotterra, ed è quella, non l’aldilà del luogo comune, la “miglior vita”.