venerdì 26 agosto 2016

L'edificio del sapere

   Il desiderio di conoscere, l'esigenza di estendere il patrimonio dei concetti, è propria anzitutto dei bambini, poi, in una cultura dinamica, di molti adulti; ove infine l'estensione proceda dal particolare verso il generale, dal relativo all'assoluto, perché si ritorni alle contingenze attuali con una volontà più cosciente, siamo in presenza della filosofia in senso stretto. L'incessante attitudine al sapere ha innalzato sul fondamento dell'esperienza un edificio che si presenta ora composto dalle diverse scienze. L'aspirazione superiore della filosofia si è manifestata molti secoli prima che tale edificio assumesse l'attuale imponenza, nemmeno immaginabile per l'antico Greco, lo scolastico medievale o il brahmano vedico. Fermo restando l'inestimabile valore storico dei maggiori risultati giunti fino a noi, le componenti arbitrarie che spesso si insinuavano nella speculazione non potevano che ridurne quello concettuale, del qual fatto ben si avvedevano gli scettici, e non solo loro.
  Con l'affermarsi della scienza moderna, si presenta la condizione ideale perché l'opera si completi con la sua parte sommitale, a patto che i termini dell'intera questione si rendano perfettamente chiari, entro ciascun ambito e nella continuità tra di essi. Esperienza e ragione stanno a fondamento dell'edificio; logica e matematica ne sono la struttura portante. La scienza è approfondimento e applicazione interna al contingente: l'universo stesso, avendo anch'esso origine in altro da sé, e trapassando in altro, comprende sì ogni altro oggetto della nostra conoscenza, ma è pur sempre parte del tutto. La fisica in senso lato include la biologia, la biologia include la zoologia, la zoologia include l'antropologia, e l'antropologia include la psicologia umana. Tra i compiti della scienza rientrano l'analisi dei processi evolutivi per i quali dalla sensazione si arriva al pensiero, dall'istinto alla coscienza, e le definizioni di verità, ipotesi e volontà, in quanto enti psichici. A questo punto, per deduzione dal sapere empirico, il passaggio al piano filosofico diventa perfettamente praticabile. Qui non abbiamo più determinazioni da studiare, ma solo conseguenze da inferire; non c'è questa o quella cosa, ma “la” cosa, "l'ente in quanto ente", diceva già Aristotele e, più oltre, l'insieme degli enti in perenne divenire, il tutto; non il causato, ma l'assoluto; non l'accidente, ma la sostanza; non le entità limitate nello spazio e nel tempo, ma l'essere eterno. Tornando alle scienze, l'acquisizione dei concetti ontologici ne permette uno svolgimento libero dagli opposti condizionamenti del fideismo e dello scetticismo, e ciò ha particolari effetti nel costituirsi dell'etica come scienza antropologica.
  Portato a compimento, l'edificio sarà tanto soddisfacente da diventare in breve tempo il solo a svolgere le funzioni di scuola, di laboratorio e di studio per qualsivoglia progetto, individuale, sociale, politico. Immaginandone le conseguenze, non può essere che questa, espressa in estrema sintesi, la migliore delle ipotesi per il futuro.

lunedì 15 agosto 2016

L'essere stupefacente

   Lo Stato deve perseguire il bene collettivo: attraverso le sue istituzioni e le opportune consulenze, deve cioè a) esaminare i fatti che si svolgono al suo interno e quelli che lo coinvolgono all'estero, b) svolgere una costante attività di calcolo complessivo dei benefici e dei danni di ogni genere, sia per i singoli casi che per quelli generali, c) usare i dati ottenuti ed il potere di cui dispone per massimizzare i benefici e ridurre il più possibile i danni. Quel che il singolo cerca di fare per sé, è responsabilità dello Stato per la cittadinanza. L'avanzamento della scienza in tutti i campi fornisce strumenti essenziali allo scopo: quelle fisiche e antropologiche riducono il margine di errore, quelle filosofiche accrescono la coscienza e l'impegno.
  Tra i fattori che perpetuano tale compito c'è l'affacciarsi sul mercato di nuovi prodotti e tecnologie. Gli Stati hanno più volte permesso il diffondersi di mezzi, materiali e consumi che, insieme all'utilità, presentano risvolti esiziali. Durante l'espansione industriale, il danno collaterale al beneficio degli impianti, degli automezzi, delle sostanze chimiche, di materiali come l'amianto, fu ampiamente trascurato; dopo molti disastri, malattie e morti si sono cominciati a imporre i divieti e l'applicazione dei correttivi o sostitutivi che l'impegno scientifico ed ingegneristico hanno saputo predisporre, ma la consapevolezza della priorità mondiale di questi problemi è ancora insufficiente, e pressoché assente nei Paesi di recente sviluppo. 
   Un caso di particolare imprevidenza da parte dei governi è stato quello riguardante il tabacco da fumo. Dopo molti anni di totale permissivismo, il rapporto del tutto sbilanciato tra vantaggio e danno di questo prodotto, specie nella forma della sigaretta, è emerso in modo lampante, ma questo non è bastato per abbatterne il consumo. Solitamente, lo si inizia da adolescenti, quando, per le coscienze acerbe, fumare è segno di età adulta, poi l'assuefazione ne fa un pernicioso bisogno, e smettere è un'impresa. Le politiche di contrasto sono state avviate solo alla fine del secolo scorso, senza però spingersi fino al divieto totale, oggi in vigore nel solo Bhutan.
  Su altre sostanze, a causa degli effetti permanenti sul comportamento dei consumatori abituali, le legislazioni sono intervenute con ben altra sollecitudine, decretandone la proibizione assoluta al loro primo apparire. Tuttavia, non appena viene meno l'offerta legale, alla domanda provvede il contrabbando, con ottima organizzazione. Per ogni trafficante arrestato ce n'è un altro che inizia, allettato dalla prospettiva dei cospicui guadagni. Nella situazione di stallo che si crea, guadagna credito l'antiproibizionismo, che si appoggia, tra l'altro, sul diritto di far del male a se stessi, sulla contraddizione in cui cadono gli Stati quando vietano le cosiddette droghe "leggere", i cui effetti sono ancora allo studio, e non il tabacco e dell'alcol, cause certe di molti decessiIntanto, il vero obbiettivo, quello di far sì che la gente smetta di scambiare per balsamo i suoi più scadenti surrogati o il veleno camuffato, si allontana. Per questo, proibire non basta, e legalizzare non serve: ci vuole una nuova cultura, che si respiri sin dalla prima età, e che prenda forma compiuta insieme alla crescita naturale di ciascuno.
   Ad ora il miglior balsamo, seppure sotto gli occhi di tutti, pare vada indicato; non ai bambini, né a chi ha visto o vede frequentemente la morte in faccia, perché loro già sanno. È la realtà in cui siamo, ossia l'essere, il  percepire, il concepire. L'antica parete, la pianta che cresceil cane che aspetta l'amico umano fuori dal negozio, un buon piatto a tavola. La gentilezza di uno sconosciuto, la soddisfazione per un atto di giustizia, la commozione per una morte e quella per una nascita. L'infinito oltre le stelle, seguire col pensiero la catena delle cause fin nell'ignoto, capire che l'Insieme non ha causa, sentirsi leggeri. Quel che ci circonda, quel che è lontano, noi stessi: tutto può apparire sotto una luce, questa sì, stupefacente.







lunedì 8 agosto 2016

Amore e legge

   L'articolo 29 della Costituzione italiana, la cui genesi fu assai travagliata (vedi il contributo di V. Caporrella), non è tra quelli messi in discussione da voci autorevoli. Anche per le principali correnti laiche, le recenti esigenze di una società ampiamente mutata rispetto agli anni Quaranta sono adattabili a tale norma. Tuttavia, una sua certa modifica, tanto piccola graficamente quanto rivoluzionaria nei contenuti, sarebbe inevitabile qualora il nostro Paese fosse coinvolto nel profondo rinnovamento culturale che chiunque ami davvero la vita, l'intelligenza e la felicità non può che auspicare, per l'Italia e per il mondo. Con grande sollievo, scadrebbe allora il tempo dell'aspra, estenuante controversia che oggi, dentro e fuori il Parlamento, accende gli animi attorno al tema della famiglia, come non accadeva quando il campo etico era dominato dal cattolicesimo, il confronto interculturale era interesse di pochi studiosi, non c'era alcuna politica europea, l'omosessualità era un tabù e non erano ancora praticabili le tecniche di procreazione assistita. Questa modifica consiste nel sostituire la definizione di famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio", con quella di nucleo della società fondato sull'amore. Lo Stato, constatata l'idoneità fondamentale dei richiedenti, dovrà riconoscere non anche, ma soltanto le unioni civili, indipendentemente da fattori estrinseci al sentimento come il sesso, il numero o la consanguineità, e ratificare gli eventuali annullamenti. Diritto inviolabile dei minori, oltre alle cure e alla cultura proporzionate all'età, è quello di non essere sottoposti ad alcuna oppressione psicologica se allevati da una coppia omosessuale. Non sarà vietata alcuna via diversa da quella puramente naturale per generare una vita. Chiunque sarà libero di celebrare il matrimonio secondo qualsivoglia tradizione o rito, ma esso non avrà alcun valore giuridico, e di conseguenza non ne avrà il divorzio; i legali specializzati avranno modo di riconvertire la loro lucrosa attività.
   Una parola al posto di un'altra, un mondo nuovo, adatto a chi desidera goderselo in pace.






sabato 6 agosto 2016

Lo Stato e il pensiero

   Rispetto alle differenti impostazioni generali del pensiero che si manifestano in una popolazione, vi sono due tipi di Stato: quello esclusivo, secondo cui una soltanto di esse è legittima, e quello inclusivo, che riconosce a tutte il diritto di trovare espressione e di partecipare alle decisioni importanti. Questo secondo tipo, dopo secoli di vicissitudini spesso tragiche, sembra oggi essersi definitivamente affermato nei Paesi che, anche per questo motivo, si definiscono progrediti.
  Al problema dei frequenti disaccordi sulle decisioni di interesse pubblico che inevitabilmente si pone con l'adozione del modello inclusivo, la risposta principale sta nel sistema della competizione elettorale periodica fra le rappresentanze politiche, con l'intento di far sempre prevalere il punto di vista di volta in volta maggioritario. Non che la maggioranza, fosse pure assoluta, sia infallibile, ma l'adagio secondo cui sbagliando si impara vale per la collettività come per il singolo: in caso di errore o di inadeguatezza, si può cambiare linea abbastanza agevolmente, e migliorare. È un principio di evoluzione culturale e sociale, un lento processo che in futuro potrebbe dar luogo ad una coscienza collettiva abbastanza elevata ed omogenea da rendere obsoleto anche il sistema attuale: come alle repressioni di un tempo sono succedute le attuali baruffe, così anche queste allora si estinguerebbero, lasciando l'intero campo alla logica e al dialogo.


martedì 2 agosto 2016

Dio

   Dio, nel senso più ampio, è colui che è immaginato come dotato di vita eterna, virtù sovrumane ed immenso potere. Se si aggiunge l'unicità sono esclusi i politeismi; ultramondano o spirituale non vale per il panteismo; se lo diciamo anche creatore e legislatore dell'universo, siamo all'idea del trascendente più diffusa al mondo, essendo propria delle religioni ebraica, cristiana e musulmana. Dal punto di vista cristiano, che il credo trinitario possa sembrare in deroga al monoteismo è per i limiti della razionalità umana, oltre i quali solo la grazia della fede può condurre l'anima sperduta alla verità. Lo scandalo suscitato dal trinitarismo presso le altre due religioni del Libro è poco giustificato, se si considera che ad un primo livello, per così dire, rispetto a quel che avviene nel cristianesimo, una messa in disparte della razionalità già si verifica nel loro caso, anzi è insita nella religione in genere: ciò ha le sue ragioni, che la ragione, parafrasando Pascal, può ben conoscere. C'è nella fede religiosa un certa affinità con le paure e le esigenze infantili, un tremare per l'ignoto ed il buio che appaiono oltre la finitezza umana, ed un'attrazione invincibile per il mito, l'analogo della favola, quando sappia colmare il vuoto con meravigliose e salvifiche presenze. Tutto comprensibile, quasi commovente, ma di umanità matura si potrà parlare solo quando, riguardo a ciò che resta fuori dalla sua possibilità di conoscenza, non risicate minoranze, ma la grande maggioranza preferirà lasciare indeterminato ciò che oltrepassa sia l'esperienza che la deducibilità logica, anche quella di ipotesi sensate, piuttosto che farsi sedurre dall'arte mitopoietica. Scompariranno dall'uso corrente i termini con cui si è sempre indicato l'uomo intellettualmente onesto, il puro filosofo, ovvero non credente, ateo e agnostico, la cui forma negativa e privativa sottolinea una collocazione posteriore o minoritaria rispetto all'altra. Soprattutto, l'umanità saprà definitivamente aprirsi allo spettacolo del mondo, scoprire tutto il valore dell'esistenza, come, per troppa inquietudine, non ha potuto ancora - se non vi saranno eccessivi ritardi, naturalmente.