“Quale pianeta
ha più valore, Venere o Marte?” La domanda da me posta appare alquanto bizzarra.
La rivolgo al signor X, che non ha tempo da perdere e la lascia cadere. Provo
con altri due che, più benevolmente, provano a rispondere, in base a ciò che
sanno di quei pianeti. Il signor A, dopo una breve riflessione, dà il primato a
Marte, essendogli giunta notizia che potrebbe esservi acqua, o almeno esservi
stata; e poi, Marte ha due satelliti, Foibos e Demos, mentre Venere non ne ha
alcuno. Tuttavia, Venere è più grande e più luminoso di Marte, per cui il
signor B dice Venere. Con il pareggio si direbbe dunque confermata
l’impressione che quella domanda fosse un giochetto vacuo, ma è interessante
come i signori A e B, nei loro responsi, abbiano dato importanza a certe
qualità più che ad altre. A loro avviso, grandezza, luminosità, pluralità di
elementi conferiscono valore all’ente, in altri termini potere di
condizionamento, poi tutto sta nel dosaggio di tali qualità. Quanto alla
domanda: “i giudizi di questo tipo sono oggettivi o soggettivi?” la risposta è:
sono oggettivi nella misura in cui i mezzi percettivi dell’essere umano, la
sensibilità in primis, e di seguito la ragione, formano un concetto dell’ente,
una sua riproduzione mentale. Se le risposte di A e B sono diverse non
significa che una sia valida e l’altra no, ma semplicemente che i due non hanno
pensato alle stesse qualità dei due enti proposti a oggetto. Essi, nel nostro concetto, si somigliano più
che differenziarsi. Se nella domanda fossero invece compresi la Terra e uno
qualunque tra i pianeti del sistema solare, balzerebbe agli occhi il fatto che
nell’una pullula la vita in milioni di specie differenti, compresa la nostra,
mentre negli altri essa è del tutto assente. Ciò non toglie che il signor X,
già infastidito dal precedente interrogativo, neghi che questo secondo abbia
maggior senso, mentre A e B concordano nell’idea che la Terra abbia
incomparabilmente più valore di ogni altro pianeta. Questa volta la differenza
di vedute è tanto rilevante dal porre l’una o l’altra nel novero dell’errore:
non possono avere ragione tanto X quanto AB, e io, schifando l’aria da
intellettuale del primo, ne trovo maggiormente nei secondi, gente semplice.
La pluralità dei modi dell’essere è la
massima distanza dal nulla, e io mi riconosco nell’heideggeriano pastore
dell’essere. La superiorità della Terra entro il sistema solare, o meglio,
entro tutta l’area ancora da misurare ove non vi sono organismi, si deve alla
presenza su di essa di modi d’essere assenti in ogni dove, quelli che la
tassonomia biologica si sforza di classificare; sarebbe notevole anche se non
vi strisciassero che poche cellule, ma il dominio degli eucarioti, comprendente
anche le piante, gli animali e quindi l’uomo, rende gigantesco il divario.
Sulla Terra vi è poi un altro modo ontico, quello delle opere umane, il cui
aumentare cambia la faccia del pianeta. Esse, quando sono frutto di ingegno,
operosità, genio, costituiscono un valore aggiunto, ma solo fino a quando non
iniziano a intaccare la biosfera, com’è invece accaduto. L’espansione della
tecnica porta con sé quella della nostra specie, ma ciò passa per lo
sfruttamento della natura, la cui estensione diminuisce, finché non solo si
annulla il vantaggio dell’uomo, fino a rovesciarsi nel suo contrario, ma
diminuisce il valore stesso della Terra.
Coscienza ontica è dunque competenza
assiologica, da cui pienezza di senso per l’azione, direzione morale. Dal
momento in cui è acquisita, non serve più cercare questo senso, senza il quale
l’uomo si fa strumento della distruzione generale, fuori dal sapere,
nell’immaginazione mitopoietica su cui poggiano le religioni. Agire nell’amore,
nell’ammirazione, nel contributo, nella difesa dell’essere, nella
consapevolezza del valore di ogni ente, è filosofia pratica.