Nihil est sine ratione, diceva Leibniz; detto
diversamente, tutto ciò che esiste ha una causa, o meglio una serie di cause
efficienti. I governi esistono, quindi anche l’azione di governo sottostà a
questa legge ontologica. Da indicare, tra le cause del governo, il diritto
grazie a cui certe persone governano: in passato, esso veniva da azioni di
forza, da eredità o da elezioni oligarchiche, oggi prevale il suffragio
universale, domani chissà. Se tuttavia ci atteniamo alla causa immediata dei
governi, questa non è altro che la coscienza dei governanti, e l’elemento
essenziale di tale coscienza è o dovrebbe essere il concetto del bene, quello
della Nazione, del popolo, insomma il bene generale. Nel corso dei secoli, le
società umane hanno individuato nell’elezione popolare il mezzo che più di
tutti dà alle nazioni un governo mosso da questo concetto, eppure è del tutto
evidente che, ancora una volta, il perseguimento del bene non è garantito.
Compiuta l’opera di persuasione, difatti, nelle aule governative la voce del
popolo comincia spesso a giungere flebile, o distorta, mentre è stentoreo il
richiamo degli affaristi, ai quali tali politici finiscono col somigliare,
quando non sono addirittura la stessa persona. Nulla di intrinsecamente
malvagio nell’abilità ad arricchirsi, ma una politica che, anziché includerne le dinamiche nella propria azione di governo, si fa governare da chi la
possiede, non è più rispettabile delle politiche che ci siamo lasciati alle
spalle.