Lo Stato deve perseguire
il bene collettivo: attraverso le sue istituzioni e le opportune consulenze,
deve cioè a) esaminare i fatti che si svolgono al suo interno
e quelli che lo coinvolgono all'estero, b) svolgere una
costante attività di calcolo complessivo dei benefici e dei danni di ogni genere, sia per i singoli casi che per quelli generali, c) usare i dati ottenuti ed il potere di cui dispone per massimizzare i benefici e ridurre il più possibile i danni. Quel che il singolo
cerca di fare per sé, è responsabilità dello Stato per la
cittadinanza. L'avanzamento della scienza in tutti i campi fornisce
strumenti essenziali allo scopo: quelle fisiche e antropologiche
riducono il margine di errore, quelle filosofiche accrescono la coscienza e l'impegno.
Tra i fattori che perpetuano tale compito c'è l'affacciarsi sul
mercato di nuovi prodotti e tecnologie. Gli Stati hanno più volte
permesso il diffondersi di mezzi, materiali e consumi che, insieme
all'utilità, presentano risvolti esiziali. Durante l'espansione industriale, il danno collaterale al beneficio degli impianti, degli automezzi, delle sostanze chimiche, di materiali come l'amianto, fu ampiamente trascurato; dopo molti disastri, malattie e morti si sono cominciati a imporre i divieti e l'applicazione dei correttivi o sostitutivi che l'impegno scientifico ed
ingegneristico hanno saputo predisporre, ma la consapevolezza della priorità mondiale di questi problemi è ancora insufficiente, e pressoché assente nei Paesi di recente sviluppo.
Un
caso di particolare imprevidenza da parte dei governi è stato quello riguardante il tabacco da fumo. Dopo molti anni di totale permissivismo, il rapporto
del tutto sbilanciato tra vantaggio e danno di questo prodotto,
specie nella forma della sigaretta, è emerso in modo lampante,
ma questo non è bastato per abbatterne il consumo. Solitamente, lo si inizia da adolescenti, quando, per le coscienze acerbe, fumare è segno di età
adulta, poi l'assuefazione ne fa un pernicioso bisogno, e smettere è
un'impresa. Le politiche di contrasto sono state avviate solo alla fine del secolo scorso, senza però spingersi fino al divieto
totale, oggi in vigore nel solo Bhutan.
Su altre sostanze, a causa degli effetti permanenti sul comportamento
dei consumatori abituali, le legislazioni sono intervenute con ben altra
sollecitudine, decretandone la proibizione assoluta al loro primo apparire. Tuttavia, non
appena viene meno l'offerta legale, alla domanda provvede il
contrabbando, con ottima organizzazione. Per ogni trafficante arrestato ce n'è un altro che
inizia, allettato dalla prospettiva dei cospicui guadagni. Nella situazione di stallo che si crea, guadagna credito l'antiproibizionismo, che si appoggia, tra l'altro, sul diritto di far del male a se stessi, sulla contraddizione in cui cadono gli Stati quando vietano le cosiddette droghe "leggere", i cui effetti sono ancora allo studio, e non il tabacco e dell'alcol, cause certe di molti decessi. Intanto, il vero
obbiettivo, quello di far sì che la gente smetta di scambiare per
balsamo i suoi più scadenti surrogati o il veleno camuffato, si allontana. Per questo, proibire non basta, e legalizzare non serve: ci vuole una nuova
cultura, che si respiri sin dalla prima età, e che prenda forma
compiuta insieme alla crescita naturale di ciascuno.
Ad ora il miglior balsamo, seppure sotto gli occhi di tutti, pare vada indicato; non ai bambini, né a chi ha visto o vede frequentemente
la morte in faccia, perché loro già sanno. È la realtà in cui siamo, ossia l'essere, il percepire, il concepire. L'antica parete, la pianta che cresce, il cane che aspetta l'amico umano fuori dal
negozio, un buon piatto a tavola. La gentilezza di uno sconosciuto, la soddisfazione
per un atto di giustizia, la commozione per una morte e quella per una nascita. L'infinito oltre le stelle, seguire col pensiero la catena delle cause fin nell'ignoto, capire che l'Insieme non ha causa, sentirsi leggeri. Quel che ci circonda, quel che è lontano, noi stessi: tutto può apparire sotto una luce, questa sì, stupefacente.
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