domenica 4 novembre 2018

Costituzione, rivoluzione


  La Costituzione italiana inizia con una definizione. L’essere delle leggi è il dover essere, qui perciò la definizione non è, anzitutto, descrizione, ma ciò che esige attuazione, in quanto, per esperienza e pensiero, in esso si vede un bene non spontaneamente compiuto, non sempre e non ovunque. A essere definito è il Paese, l’Italia, e i concetti che compongono la definizione sono: repubblica, democrazia, lavoro, sovranità, popolo. Questi concetti si danno per evidenti e acquisiti; solo a quello di sovranità, con il secondo comma, è data una specificazione, onde escluderne il tipo illimitato, assoluto. Di fondo, il concetto a cui la norma si ispira è parità. La repubblica è diversa dalla monarchia, anche da quella costituzionale, perché nessuno vi nasce nobile, predestinato al comando o all’autorità. La democrazia è la diffusione del potere nella popolazione. Il lavoro è fondamento perché bisogna che ognuno contribuisca al benessere generale. C’è una sovranità, seppur relativa, e questa è attribuita al popolo, non a questa o a quella élite. Nell’essenza, dunque, l’articolo uno dice: la parità è bene. Ciò è del tutto comprensibile: il costituente è come un padre, e un buon padre non usa disparità, vuole il bene per i propri figli in egual misura. Questa misura, tuttavia, non può essere la più alta in termini di ricchezza. Qualora sessanta milioni di persone disponessero ciascuna di un patrimonio attorno ai venti miliardi, come Ferrero o Del Vecchio, sarebbero esaurite le risorse non solo dell’Italia ma di un bel pezzo di mondo, si provocherebbe cioè una catastrofe infernale. Sul piano economico, la parità dev’essere dunque commisurata a una certa medietà, meglio ancora a una certa sobrietà. La deduzione è semplice: senza l’abolizione delle grandi ricchezze, non c’è attuazione della carta costituzionale. Essa vuole una rivoluzione, e non c’è modo di fuggirne sostenendo che non contano i patrimoni ma i diritti fondamentali, come se il ricco si distinguesse dal povero solo per l’accesso ai beni voluttuari, e non anche per quelli a una sanità, a un’istruzione, a una difesa nettamente superiori.




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