I. Ottobre
Nella
testa di Smith il commerciante, che sta guidando la sua vettura lungo
un’autostrada sgombra, procede da alcuni minuti una certa sequenza di pensieri,
un misto di ricordi e considerazioni, sotto forma di immagini e parole che si
susseguono e spesso si accavallano. Tutto sembra regolare: il dipolo estetico,
dispositivo psichico che reagisce alle percezioni, esterne e interne, secondo
la propria scala di valori, ha un segno blandamente positivo, finché la catena
presenta un anello che, d’un tratto, fa calare l’asticella estetica di parecchi
gradi. È quel broker, Bernard, il suo atteggiamento freddo, la necessità di
incontrarlo di nuovo, tra breve. Ma c’è anche l’errore del giorno prima, quando
Smith, parlando con Fernandez l’orefice, ha attribuito a Oscar Wilde un verso
di Keats, poi gli è sorto il dubbio, e Fernandez, che non aveva detto nulla, se
n’era ormai andato, e chissà che cosa avrà pensato. In questi casi, vi sono tre
possibilità principali: fissarsi sul fatto spiacevole, soffermarsi su di esso per
un tempo limitato, o cambiare oggetto d’attenzione in un attimo, non appena
avvertita la sensazione negativa. Ogni scelta ha proprie motivazioni e proprie
conseguenze. Indugiare su un oggetto psichico che trasmette una sensazione
molesta, sia esso ricordo, concetto o costruzione immaginaria, testimonia a se
stessi una difficoltà personale, che si spera di superare riflettendo,
sviscerando i vari aspetti del problema. Questo costringe il soggetto a una
sofferenza, variabile per durata e intensità, secondo che la riflessione sia
proficua o, al contrario, si contorca da ogni lato senza venire a capo di
nulla. Smith, ad esempio, tende a rimuginare, invece Fernandez si sbarazza
dell’oggetto fastidioso con una rapidità sorprendente. Di solito, ciò è dovuto
all’incoscienza, alla pigrizia, all’attitudine irresponsabile di chi non vuole
affrontare la realtà, quando non è piacevole; tuttavia, passano giorni, mesi,
anni, e lui è sempre tranquillo, di buon umore, lontano dai guai. Il suo caso
non è neppure quello del cristiano convinto, del buddhista, del seguace di
Steiner, di Gurdjieff, di Beinsa Douno il Bulgaro; di chi, in genere, crede di
apprendere da un maestro spirituale, vivo, morto o resuscitato, il modo giusto
per liberare l’anima dai suoi mali. Per Fernandez, lo sdoppiamento del mondo e
dell’uomo in materia e spirito non rappresenta la realtà. La sua mente ha una
ragione ottimale, molto allenata, in grado di respingere ogni tentativo di
mortificazione, da qualunque parte provenga, ne trae anzi nuovo vigore. Può
sbagliare, ma ciò non riguarda in alcun modo le acquisizioni principali
dell’umana coscienza, perciò, quando succede, lo riconosce senza difficoltà,
anche apertamente, palesando in tal modo la differenza assiologica tra i
concetti.
Manca una trentina di chilometri per
l’uscita autostradale, e il cervello di Smith ha circa venti minuti di tempo
libero, essendovi sempre scarso traffico. Fernandez non è glaciale come
Bernard, anzi, solitamente è affabile e comprensivo. Smith prova piacere ogni
volta che lo vede, ne ha anche una certa invidia, seppure non sia né più ricco
né più bello di lui. Lo conosce da poco, e non può sapere che il passato
psicologico dell’orefice comprende un periodo di tre anni e mezzo durante cui
ha attraversato i territori più insidiosi, incontrato mostri degni degli
antichi poemi, sfiorato più volte la caduta da cui non ci si rialza. Smith lo
percepisce come un fortunato, e lo è, ma dimentica che la buona combinazione
genetica è nulla senza l’apprendistato, le prove, l’esercizio, e più sono
severi, migliore è l’esito, una volta superati. Comunque, questa differenza fra
lui e Fernandez è per Smith un motivo di disagio più intenso di molti altri. In
cerca di soluzioni, egli comincia ad accarezzare l’idea di seguire un corso di meditazione. S’informerà.
II. Dicembre
Mentre percorre la solita autostrada, Smith
torna col pensiero all’esperienza di meditazione fatta un mese fa. La scelta
non fu semplice, per l’enorme varietà delle offerte che si trovò di fronte,
anche considerando solo la sua provincia, e poi dovette considerare le
differenze di prezzo. Un corso più caro corrispondeva a un metodo più efficace?
A una dottrina più vera? Scommise con la sorte che non fosse così, e scelse un
corso a libera offerta, uno tra i meno ermetici, almeno stando alla
presentazione. In effetti, era abbastanza semplice, ma improntato ad
un’austerità di tipo monastico che gli costò non poco sacrificio. Tuttavia, il
commerciante è poco propenso a proseguire il cammino con un secondo corso più
avanzato, come prevedono tutti i metodi del genere. Ora egli cerca di evitare
le solite lotte estenuanti con i pensieri aggressivi, spostando la sua
attenzione su piccole cose, come il proprio respiro, il battito del cuore,
alcune formule riposanti, ma gli si è insinuata una nuova percezione
sgradevole, senza una precisa forma logica, risalente alle persone incontrate
in quel ritiro, in primo luogo Jensen il maestro: la sua gentilezza non gli è
sembrata genuina, e a volte ridacchiava per un motivo che non capiva. Con gli
altri frequentatori ha comunicato poco, alcuni erano troppo introversi, dopo il
corso non ha visto o sentito nessuno di loro. Di questa sua esperienza, Smith
non ha fatto cenno con Fernandez, e men che meno con Bernard, temendo che
potessero sorriderne. Uno simpatico, l’altro antipatico, ma in fondo ambedue
vanno avanti tranquillamente, come i tanti che di quelle tecniche di
meditazione hanno sentito parlare, ma non ne sono minimamente attratti. I più,
in genere, mostrano indifferenza verso tutto ciò che dovrebbe elevarli
spiritualmente, allo stesso modo di quel che è ovvio e continuo, come il fatto
di camminare o di respirare, almeno finché la salute li assiste: proprio i due
aspetti del corso scelto da Smith, dove il secondo è propedeutico al primo, per
chi decide di proseguire. Egli si chiede chi abbia più ragione fra immanenti e
trascendenti, e non sa rispondersi: se i primi li si può dire grossolani e
banali, i secondi possono essere inattendibili e altezzosi. Forse l’ideale, per
l’essere umano, è una posizione intermedia fra tali opposti e, nel tentativo di
immaginarsela, gli torna in mente l’orefice: è lui, tra i suoi conoscenti,
quello a cui meno si possono attribuire i difetti dell’uno e dell’altro tipo.
Quando lo rivedrà, però, si guarderà bene dall’entrare direttamente nel
discorso, altrimenti gli attribuirebbe un ruolo simile a quello di Jensen, e
non è certo il caso. Si parlerà di lavoro come al solito, di qualche argomento
di attualità, forse si entrerà in qualcosa di personale, ma senza troppo
approfondire: Smith, insomma, cercherà di evincere dalla conversazione
ordinaria quali contenuti psichici rendano la personalità di Fernandez quella
che è, anche e forse soprattutto dai modi dell’espressione, verbali e visivi.
III. Febbraio
Smith
entra nella cucina di casa sua per prepararsi un tè. Ha incontrato Fernandez
due volte; durante la seconda, quattro giorni fa, il commerciante è stato poco
loquace, per una punta di vergogna provata durante la conversazione precedente,
quando la sua aumentata voglia di parlare con lui era stata fin troppo palese.
Fernandez, però, non ne sembrava stupito o infastidito, interloquiva con lui
volentieri. Tra le righe delle osservazioni su certi nuovi sistemi espositivi,
quelle sulla situazione economica e politica in alcuni Paesi africani e altre
ancora, Smith cercava di scoprire il segreto di quello spirito, e ora riprende
la sua fatica, servendosi della memoria. Egli intuisce che la fede religiosa,
nel caso dell’orefice, ha poca o nessuna importanza, tuttavia, a quanto gli
risulta, esistono credenze filosofiche ed
esoteriche che si differenziano in qualche modo da quelle religiose. In
verità, la credenza non va confusa con la certezza, come fa chi aderisce
mentalmente a un oggetto immaginato allo stesso modo di come ognuno di noi
aderisce all’oggetto conosciuto, il mistico persino con più forza. L’errore è
tanto più consistente quanto più la credenza è improbabile e in contraddizione
con il concetto, ma sono proprio l’improbabilità e la contraddizione a caratterizzare
e sacralizzare l’oggetto della credenza religiosa. Il fatto che tale differenza
sia spesso sfuggita ai filosofi stessi è la principale causa per cui il
concetto della filosofia è correntemente spurio; basta attenersi all’etimo per
comprendere che filosofia è volontà di sapere, non di credere. Credenza
filosofica, dunque, può essere solo quella probabile, razionale e pur sempre
distinta dalla certezza, a cominciare dalla previsione che domani il sole
sorgerà, fino allo stabilirsi definitivo della pace nel mondo. Quelle a cui
pensa Smith in termini di credenze filosofiche, invece, si distinguono dalla
fede religiosa soltanto per la non appartenenza ad alcuna religione popolare,
come l’iperuranio di Platone, le ipostasi di Plotino, il dio modale di Spinoza.
Lo stesso vale per le credenze esoteriche: qui, anzi l’analogia con la fede
religiosa è maggiore, giacché attorno ad esse tendono a crearsi comunità
fornite di simboli e riti, spesso attinti da culti preesistenti. Se la ricerca
ha condotto Smith in questa direzione è perché credenze metafisiche e
superiorità d’animo sembrano congiungersi, ma quella superiorità è tale solo
rispetto a una ragione povera, provvisoria, quella che non oltrepassa il
perimetro dell’io individuo, e soffoca in esso. Al contrario, in confronto alla
ragione estesa, e al sapere e all’etica che da essa procedono, la fede
metafisica presenta immancabilmente i segni dell’inferiorità, per come
imbriglia la logica, umilia lo spirito critico, diminuisce la libertà, si
manifesta in forme confliggenti tra loro. La sapienza, la pace, il bene
originati dalla fede altro non sono che una premonizione, il segno del
desiderio di quelli veri.
Un’altra ipotesi considerata da Smith, ma da
lui esclusa dopo le ultime conversazioni con Fernandez, è quella di una
speciale e innata capacità intuitiva,
che attraverso il sentimento, senza coinvolgere la ragione, muova l’anima
sempre nella giusta via. Entrando in argomenti pragmatici e politici, l’orefice
si è dimostrato un po’ troppo logico perché lo si possa ritenere guidato solo
dall’intuito; se poi questo è pensato come una facoltà separata e financo
antitetica al raziocinio, si sconfina dalla scienza al regno immaginario del
paranormale, non certo il più affidabile. La ragione sarebbe solo un ingombro
se un’anima comprendesse verità e compiesse buone scelte senza il suo apporto,
con una consistente riduzione dei tempi e della fatica. Realisticamente,
tuttavia, più le questioni sono complesse e gravate di responsabilità, più
trascurare il ragionamento, monologico e dialogico, è rischioso e, oltre un
certo limite, del tutto folle. In gran parte, la speciale capacità a cui sta
pensando Smith è un sogno di leggerezza, a fronte di una realtà assai
impegnativa.
Anche dare per concluso un ragionamento
quando non lo è ha conseguenze nefaste, dalle quali non resta che imparare. Se
vi è dunque un intuito o sentimento prezioso, esso riguarda non tanto i fatti
esterni alla coscienza, quanto gli interni, e precipuamente l’eventualità che
la ragione, rispetto a un certo fatto da comprendere, sia incompleta: è
un’intima insoddisfazione, che spinge a sospendere l’azione corporea e a
riprendere quella psichica. Proprio questa è la misteriosa qualità di Fernandez
che Smith va cercando, e che è lontano dallo scoprire. In passato, quando
quella sensazione di vuoto è stata in lui più forte, Fernandez ne ha sofferto,
ma ora la avverte di rado, è più breve e non gli procura alcun disagio, col
tempo è diventato un automatismo mentale quasi piacevole. La mancanza di tale
virtù spiega anche il carattere poco amabile di uno come Bernard: la sua
ragione, arrivata a un certo punto, si arresta scetticamente, e nulla può
spingerla oltre, nemmeno la riduzione al minimo dell’altrui amore, fatto al
quale il broker si è adattato, e che ricambia, con velato sadomasochismo. Smith
non si è ancora abituato al disagio e non intende farlo, diventerebbe come
Bernard, ma non trova la via d’uscita, perché allettato dall’immagine
dell’illuminazione metafisica molto più che dai travagli del ragionamento. E
poi, dell’intera problematica egli ha solo un sentore, non un chiaro concetto.
Il tè è pronto, Smith si accomoda sulla sua
poltrona, cerca di concentrarsi sull’atto di sorseggiare e assaporare la
bevanda.
IV. Aprile
Smith fa una camminata per raggiungere un
negozio, e ripensa alla dottoressa Smirnova, la psicoterapeuta presso cui è in
cura da tre settimane. Lui ne è quasi innamorato. Certo, Smirnova ha un aspetto
piacevole, come pure la voce, ma, soprattutto, la dottoressa ha dimostrato di
non essere eccessivamente legata agli schemi analitici di scuola, e non lo ha
fatto sentire né infantile, né dominato da un super-io autoritario. La
sofferenza di Smith ha una radice più elevata, per così dire, più cerebrale
rispetto ai casi più frequenti, e mal si adatta alle solite eziologie
psichiatriche; non per questo è meno pericolosa, anzi, sta ostacolando le sue
attività più importanti, e minaccia di portarlo a uno stato depressivo. Dopo i
primi incontri, affrontati i temi e riflettuto, Smirnova gli ha proposto una
terapia basata sull’interazione tra uomo e asino. La cosa lo stupì molto, ma la
reazione era prevista, e la dottoressa continuò imperturbabile, parlandogli di
Linna, un delizioso luogo in collina, non troppo distante, dove un suo collega,
insieme ad alcuni assistenti, dirige un centro di zooterapia, sia con asini,
cioè onoterapia, che con altri animali. Lei stessa vi si reca più volte l’anno,
gli disse, non solo per collaborare, ma anche per il proprio beneficio. Da ragazzo,
Smith ha posseduto un cane, ma dopo la sua morte, per la quale soffrì molto,
non ha più avuto contatti diretti con animali. Non ricorda di aver mai visto un
asino dal vivo, e non aveva mai pensato che ciò potesse avere importanza, ora,
però, prova una certa curiosità, anche perché da uno psicoterapeuta si
aspettava tutt’altro, come test, sedute di ipnosi o esercizi mentali da
svolgere. Smirnova non glielo ha detto a chiare lettere, ma ritiene che
entrando in rapporto con l’asino, sotto la guida dello staff, scoprendone
l’anima e affezionandosi, il paziente sia indotto a modificare il criterio con
cui tende a valutare l’essere umano, che secondo lei è indice di un potenziale
disturbo bipolare. Importante è che Smith abbia un programma personalizzato, e
che gli incontri avvengano in orari diversi da quelli di chi soffre di
patologie o sindromi di tutt’altro tipo.
V. Giugno
Mentre è coricato sul suo letto, Smith sta
ripercorrendo con la memoria il suo incontro con Fernandez del giorno prima, e
si diletta dell’approvazione manifestata dall’orefice nel sapere della sua
esperienza con gli asini di Linna. In realtà, il suo è stato un racconto
manchevole, non avendo egli detto che la persona da cui ha saputo
dell’allevamento è una psicoterapeuta, cui si rivolse come paziente, e che
questa è appunto una terapia, indicata per disturbi di vario genere. Smith ne
ha parlato come di una scelta successiva a un’informazione casuale, e più che
altro si è soffermato sul suo contributo alla cura degli animali e sullo
scambio di affettuosità reciproche, in particolare con Abel, un somarello di
due anni. Il piacere per i complimenti di Fernandez, dovuti alla sua
descrizione degli amabili equini, del luogo in cui vivono e delle sensazioni
che ha provato, ha dovuto perciò fare i conti con un dubbio su di sé, non
essendo stato del tutto sincero. Tuttavia, la sua è stata più un’omissione che
una distorsione dei fatti e, in fondo, non è stato così grave escludere dal
racconto una parte, per quanto importante. Non era mica una deposizione in un
processo. Così, la sensazione positiva si riduce alquanto, ma resta, e per lui
è già un successo.
Maria, la compagna di Smith, donna poco
espansiva, ha percepito il miglioramento dell’umore di lui, oggi in
particolare, e l’idea dell’onoterapia, della quale non sapeva che cosa pensare,
comincia a sembrare buona anche a lei. Smirnova ha dunque visto giusto: Smith
aveva bisogno di distogliersi da una fissazione, quella dell’inspiegabile
superiorità di alcune anime, e di porsi in un altro punto di vista. Ha guardato
al di fuori della specie razionale, ma non fuori dal vivente, dal sensibile e
dal comunicante, e ha incontrato un’altra specie, che a noi si è affidata e che
ci chiede con muta dolcezza di non essere tradita, ricambiandoci in molti modi.
È stato l’asino, e ora Smith pensa di adottare un cane o un gatto, di quelli
che aspettano nei rifugi. La loro felicità è segno della nostra affidabilità, e
la presenza di quel sentimento in noi è segno del nostro essere coscienti.
Immagini ipnagogiche sempre più
indescrivibili prendono via via possesso della mente di Smith, finché si
addormenta, e nel sonno le immagini e i suoni diventano quelli del sogno, il
sostituto della vita durante il riposo naturale dei muscoli e della coscienza.
Buonanotte, Smith.
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