giovedì 9 novembre 2017

Avventure invisibili

   I. Ottobre

    Nella testa di Smith il commerciante, che sta guidando la sua vettura lungo un’autostrada sgombra, procede da alcuni minuti una certa sequenza di pensieri, un misto di ricordi e considerazioni, sotto forma di immagini e parole che si susseguono e spesso si accavallano. Tutto sembra regolare: il dipolo estetico, dispositivo psichico che reagisce alle percezioni, esterne e interne, secondo la propria scala di valori, ha un segno blandamente positivo, finché la catena presenta un anello che, d’un tratto, fa calare l’asticella estetica di parecchi gradi. È quel broker, Bernard, il suo atteggiamento freddo, la necessità di incontrarlo di nuovo, tra breve. Ma c’è anche l’errore del giorno prima, quando Smith, parlando con Fernandez l’orefice, ha attribuito a Oscar Wilde un verso di Keats, poi gli è sorto il dubbio, e Fernandez, che non aveva detto nulla, se n’era ormai andato, e chissà che cosa avrà pensato. In questi casi, vi sono tre possibilità principali: fissarsi sul fatto spiacevole, soffermarsi su di esso per un tempo limitato, o cambiare oggetto d’attenzione in un attimo, non appena avvertita la sensazione negativa. Ogni scelta ha proprie motivazioni e proprie conseguenze. Indugiare su un oggetto psichico che trasmette una sensazione molesta, sia esso ricordo, concetto o costruzione immaginaria, testimonia a se stessi una difficoltà personale, che si spera di superare riflettendo, sviscerando i vari aspetti del problema. Questo costringe il soggetto a una sofferenza, variabile per durata e intensità, secondo che la riflessione sia proficua o, al contrario, si contorca da ogni lato senza venire a capo di nulla. Smith, ad esempio, tende a rimuginare, invece Fernandez si sbarazza dell’oggetto fastidioso con una rapidità sorprendente. Di solito, ciò è dovuto all’incoscienza, alla pigrizia, all’attitudine irresponsabile di chi non vuole affrontare la realtà, quando non è piacevole; tuttavia, passano giorni, mesi, anni, e lui è sempre tranquillo, di buon umore, lontano dai guai. Il suo caso non è neppure quello del cristiano convinto, del buddhista, del seguace di Steiner, di Gurdjieff, di Beinsa Douno il Bulgaro; di chi, in genere, crede di apprendere da un maestro spirituale, vivo, morto o resuscitato, il modo giusto per liberare l’anima dai suoi mali. Per Fernandez, lo sdoppiamento del mondo e dell’uomo in materia e spirito non rappresenta la realtà. La sua mente ha una ragione ottimale, molto allenata, in grado di respingere ogni tentativo di mortificazione, da qualunque parte provenga, ne trae anzi nuovo vigore. Può sbagliare, ma ciò non riguarda in alcun modo le acquisizioni principali dell’umana coscienza, perciò, quando succede, lo riconosce senza difficoltà, anche apertamente, palesando in tal modo la differenza assiologica tra i concetti.
   Manca una trentina di chilometri per l’uscita autostradale, e il cervello di Smith ha circa venti minuti di tempo libero, essendovi sempre scarso traffico. Fernandez non è glaciale come Bernard, anzi, solitamente è affabile e comprensivo. Smith prova piacere ogni volta che lo vede, ne ha anche una certa invidia, seppure non sia né più ricco né più bello di lui. Lo conosce da poco, e non può sapere che il passato psicologico dell’orefice comprende un periodo di tre anni e mezzo durante cui ha attraversato i territori più insidiosi, incontrato mostri degni degli antichi poemi, sfiorato più volte la caduta da cui non ci si rialza. Smith lo percepisce come un fortunato, e lo è, ma dimentica che la buona combinazione genetica è nulla senza l’apprendistato, le prove, l’esercizio, e più sono severi, migliore è l’esito, una volta superati. Comunque, questa differenza fra lui e Fernandez è per Smith un motivo di disagio più intenso di molti altri. In cerca di soluzioni, egli comincia ad accarezzare l’idea di seguire un corso di meditazione. S’informerà.


   II. Dicembre

   Mentre percorre la solita autostrada, Smith torna col pensiero all’esperienza di meditazione fatta un mese fa. La scelta non fu semplice, per l’enorme varietà delle offerte che si trovò di fronte, anche considerando solo la sua provincia, e poi dovette considerare le differenze di prezzo. Un corso più caro corrispondeva a un metodo più efficace? A una dottrina più vera? Scommise con la sorte che non fosse così, e scelse un corso a libera offerta, uno tra i meno ermetici, almeno stando alla presentazione. In effetti, era abbastanza semplice, ma improntato ad un’austerità di tipo monastico che gli costò non poco sacrificio. Tuttavia, il commerciante è poco propenso a proseguire il cammino con un secondo corso più avanzato, come prevedono tutti i metodi del genere. Ora egli cerca di evitare le solite lotte estenuanti con i pensieri aggressivi, spostando la sua attenzione su piccole cose, come il proprio respiro, il battito del cuore, alcune formule riposanti, ma gli si è insinuata una nuova percezione sgradevole, senza una precisa forma logica, risalente alle persone incontrate in quel ritiro, in primo luogo Jensen il maestro: la sua gentilezza non gli è sembrata genuina, e a volte ridacchiava per un motivo che non capiva. Con gli altri frequentatori ha comunicato poco, alcuni erano troppo introversi, dopo il corso non ha visto o sentito nessuno di loro. Di questa sua esperienza, Smith non ha fatto cenno con Fernandez, e men che meno con Bernard, temendo che potessero sorriderne. Uno simpatico, l’altro antipatico, ma in fondo ambedue vanno avanti tranquillamente, come i tanti che di quelle tecniche di meditazione hanno sentito parlare, ma non ne sono minimamente attratti. I più, in genere, mostrano indifferenza verso tutto ciò che dovrebbe elevarli spiritualmente, allo stesso modo di quel che è ovvio e continuo, come il fatto di camminare o di respirare, almeno finché la salute li assiste: proprio i due aspetti del corso scelto da Smith, dove il secondo è propedeutico al primo, per chi decide di proseguire. Egli si chiede chi abbia più ragione fra immanenti e trascendenti, e non sa rispondersi: se i primi li si può dire grossolani e banali, i secondi possono essere inattendibili e altezzosi. Forse l’ideale, per l’essere umano, è una posizione intermedia fra tali opposti e, nel tentativo di immaginarsela, gli torna in mente l’orefice: è lui, tra i suoi conoscenti, quello a cui meno si possono attribuire i difetti dell’uno e dell’altro tipo. Quando lo rivedrà, però, si guarderà bene dall’entrare direttamente nel discorso, altrimenti gli attribuirebbe un ruolo simile a quello di Jensen, e non è certo il caso. Si parlerà di lavoro come al solito, di qualche argomento di attualità, forse si entrerà in qualcosa di personale, ma senza troppo approfondire: Smith, insomma, cercherà di evincere dalla conversazione ordinaria quali contenuti psichici rendano la personalità di Fernandez quella che è, anche e forse soprattutto dai modi dell’espressione, verbali e visivi.


   III. Febbraio

   Smith entra nella cucina di casa sua per prepararsi un tè. Ha incontrato Fernandez due volte; durante la seconda, quattro giorni fa, il commerciante è stato poco loquace, per una punta di vergogna provata durante la conversazione precedente, quando la sua aumentata voglia di parlare con lui era stata fin troppo palese. Fernandez, però, non ne sembrava stupito o infastidito, interloquiva con lui volentieri. Tra le righe delle osservazioni su certi nuovi sistemi espositivi, quelle sulla situazione economica e politica in alcuni Paesi africani e altre ancora, Smith cercava di scoprire il segreto di quello spirito, e ora riprende la sua fatica, servendosi della memoria. Egli intuisce che la fede religiosa, nel caso dell’orefice, ha poca o nessuna importanza, tuttavia, a quanto gli risulta, esistono credenze filosofiche ed esoteriche che si differenziano in qualche modo da quelle religiose. In verità, la credenza non va confusa con la certezza, come fa chi aderisce mentalmente a un oggetto immaginato allo stesso modo di come ognuno di noi aderisce all’oggetto conosciuto, il mistico persino con più forza. L’errore è tanto più consistente quanto più la credenza è improbabile e in contraddizione con il concetto, ma sono proprio l’improbabilità e la contraddizione a caratterizzare e sacralizzare l’oggetto della credenza religiosa. Il fatto che tale differenza sia spesso sfuggita ai filosofi stessi è la principale causa per cui il concetto della filosofia è correntemente spurio; basta attenersi all’etimo per comprendere che filosofia è volontà di sapere, non di credere. Credenza filosofica, dunque, può essere solo quella probabile, razionale e pur sempre distinta dalla certezza, a cominciare dalla previsione che domani il sole sorgerà, fino allo stabilirsi definitivo della pace nel mondo. Quelle a cui pensa Smith in termini di credenze filosofiche, invece, si distinguono dalla fede religiosa soltanto per la non appartenenza ad alcuna religione popolare, come l’iperuranio di Platone, le ipostasi di Plotino, il dio modale di Spinoza. Lo stesso vale per le credenze esoteriche: qui, anzi l’analogia con la fede religiosa è maggiore, giacché attorno ad esse tendono a crearsi comunità fornite di simboli e riti, spesso attinti da culti preesistenti. Se la ricerca ha condotto Smith in questa direzione è perché credenze metafisiche e superiorità d’animo sembrano congiungersi, ma quella superiorità è tale solo rispetto a una ragione povera, provvisoria, quella che non oltrepassa il perimetro dell’io individuo, e soffoca in esso. Al contrario, in confronto alla ragione estesa, e al sapere e all’etica che da essa procedono, la fede metafisica presenta immancabilmente i segni dell’inferiorità, per come imbriglia la logica, umilia lo spirito critico, diminuisce la libertà, si manifesta in forme confliggenti tra loro. La sapienza, la pace, il bene originati dalla fede altro non sono che una premonizione, il segno del desiderio di quelli veri.
   Un’altra ipotesi considerata da Smith, ma da lui esclusa dopo le ultime conversazioni con Fernandez, è quella di una speciale e innata capacità intuitiva, che attraverso il sentimento, senza coinvolgere la ragione, muova l’anima sempre nella giusta via. Entrando in argomenti pragmatici e politici, l’orefice si è dimostrato un po’ troppo logico perché lo si possa ritenere guidato solo dall’intuito; se poi questo è pensato come una facoltà separata e financo antitetica al raziocinio, si sconfina dalla scienza al regno immaginario del paranormale, non certo il più affidabile. La ragione sarebbe solo un ingombro se un’anima comprendesse verità e compiesse buone scelte senza il suo apporto, con una consistente riduzione dei tempi e della fatica. Realisticamente, tuttavia, più le questioni sono complesse e gravate di responsabilità, più trascurare il ragionamento, monologico e dialogico, è rischioso e, oltre un certo limite, del tutto folle. In gran parte, la speciale capacità a cui sta pensando Smith è un sogno di leggerezza, a fronte di una realtà assai impegnativa.
   Anche dare per concluso un ragionamento quando non lo è ha conseguenze nefaste, dalle quali non resta che imparare. Se vi è dunque un intuito o sentimento prezioso, esso riguarda non tanto i fatti esterni alla coscienza, quanto gli interni, e precipuamente l’eventualità che la ragione, rispetto a un certo fatto da comprendere, sia incompleta: è un’intima insoddisfazione, che spinge a sospendere l’azione corporea e a riprendere quella psichica. Proprio questa è la misteriosa qualità di Fernandez che Smith va cercando, e che è lontano dallo scoprire. In passato, quando quella sensazione di vuoto è stata in lui più forte, Fernandez ne ha sofferto, ma ora la avverte di rado, è più breve e non gli procura alcun disagio, col tempo è diventato un automatismo mentale quasi piacevole. La mancanza di tale virtù spiega anche il carattere poco amabile di uno come Bernard: la sua ragione, arrivata a un certo punto, si arresta scetticamente, e nulla può spingerla oltre, nemmeno la riduzione al minimo dell’altrui amore, fatto al quale il broker si è adattato, e che ricambia, con velato sadomasochismo. Smith non si è ancora abituato al disagio e non intende farlo, diventerebbe come Bernard, ma non trova la via d’uscita, perché allettato dall’immagine dell’illuminazione metafisica molto più che dai travagli del ragionamento. E poi, dell’intera problematica egli ha solo un sentore, non un chiaro concetto.
   Il tè è pronto, Smith si accomoda sulla sua poltrona, cerca di concentrarsi sull’atto di sorseggiare e assaporare la bevanda.


   IV. Aprile

   Smith fa una camminata per raggiungere un negozio, e ripensa alla dottoressa Smirnova, la psicoterapeuta presso cui è in cura da tre settimane. Lui ne è quasi innamorato. Certo, Smirnova ha un aspetto piacevole, come pure la voce, ma, soprattutto, la dottoressa ha dimostrato di non essere eccessivamente legata agli schemi analitici di scuola, e non lo ha fatto sentire né infantile, né dominato da un super-io autoritario. La sofferenza di Smith ha una radice più elevata, per così dire, più cerebrale rispetto ai casi più frequenti, e mal si adatta alle solite eziologie psichiatriche; non per questo è meno pericolosa, anzi, sta ostacolando le sue attività più importanti, e minaccia di portarlo a uno stato depressivo. Dopo i primi incontri, affrontati i temi e riflettuto, Smirnova gli ha proposto una terapia basata sull’interazione tra uomo e asino. La cosa lo stupì molto, ma la reazione era prevista, e la dottoressa continuò imperturbabile, parlandogli di Linna, un delizioso luogo in collina, non troppo distante, dove un suo collega, insieme ad alcuni assistenti, dirige un centro di zooterapia, sia con asini, cioè onoterapia, che con altri animali. Lei stessa vi si reca più volte l’anno, gli disse, non solo per collaborare, ma anche per il proprio beneficio. Da ragazzo, Smith ha posseduto un cane, ma dopo la sua morte, per la quale soffrì molto, non ha più avuto contatti diretti con animali. Non ricorda di aver mai visto un asino dal vivo, e non aveva mai pensato che ciò potesse avere importanza, ora, però, prova una certa curiosità, anche perché da uno psicoterapeuta si aspettava tutt’altro, come test, sedute di ipnosi o esercizi mentali da svolgere. Smirnova non glielo ha detto a chiare lettere, ma ritiene che entrando in rapporto con l’asino, sotto la guida dello staff, scoprendone l’anima e affezionandosi, il paziente sia indotto a modificare il criterio con cui tende a valutare l’essere umano, che secondo lei è indice di un potenziale disturbo bipolare. Importante è che Smith abbia un programma personalizzato, e che gli incontri avvengano in orari diversi da quelli di chi soffre di patologie o sindromi di tutt’altro tipo. 


   V. Giugno

   Mentre è coricato sul suo letto, Smith sta ripercorrendo con la memoria il suo incontro con Fernandez del giorno prima, e si diletta dell’approvazione manifestata dall’orefice nel sapere della sua esperienza con gli asini di Linna. In realtà, il suo è stato un racconto manchevole, non avendo egli detto che la persona da cui ha saputo dell’allevamento è una psicoterapeuta, cui si rivolse come paziente, e che questa è appunto una terapia, indicata per disturbi di vario genere. Smith ne ha parlato come di una scelta successiva a un’informazione casuale, e più che altro si è soffermato sul suo contributo alla cura degli animali e sullo scambio di affettuosità reciproche, in particolare con Abel, un somarello di due anni. Il piacere per i complimenti di Fernandez, dovuti alla sua descrizione degli amabili equini, del luogo in cui vivono e delle sensazioni che ha provato, ha dovuto perciò fare i conti con un dubbio su di sé, non essendo stato del tutto sincero. Tuttavia, la sua è stata più un’omissione che una distorsione dei fatti e, in fondo, non è stato così grave escludere dal racconto una parte, per quanto importante. Non era mica una deposizione in un processo. Così, la sensazione positiva si riduce alquanto, ma resta, e per lui è già un successo.
   Maria, la compagna di Smith, donna poco espansiva, ha percepito il miglioramento dell’umore di lui, oggi in particolare, e l’idea dell’onoterapia, della quale non sapeva che cosa pensare, comincia a sembrare buona anche a lei. Smirnova ha dunque visto giusto: Smith aveva bisogno di distogliersi da una fissazione, quella dell’inspiegabile superiorità di alcune anime, e di porsi in un altro punto di vista. Ha guardato al di fuori della specie razionale, ma non fuori dal vivente, dal sensibile e dal comunicante, e ha incontrato un’altra specie, che a noi si è affidata e che ci chiede con muta dolcezza di non essere tradita, ricambiandoci in molti modi. È stato l’asino, e ora Smith pensa di adottare un cane o un gatto, di quelli che aspettano nei rifugi. La loro felicità è segno della nostra affidabilità, e la presenza di quel sentimento in noi è segno del nostro essere coscienti.
   Immagini ipnagogiche sempre più indescrivibili prendono via via possesso della mente di Smith, finché si addormenta, e nel sonno le immagini e i suoni diventano quelli del sogno, il sostituto della vita durante il riposo naturale dei muscoli e della coscienza. Buonanotte, Smith.

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