giovedì 9 novembre 2017

Trio

   Giardini pubblici di una città. Un portafogli giace sull’erba, poco distante dal sentiero. All’interno, la carta d’identità del signor Yamamoto, varie tessere, banconote per trecento euro. Nei dintorni, passeggiano, ognuno per conto proprio, i signori Jong, Park e Martin. Il caso vuole che i tre abbiano caratteri ben determinati, ma ciascuno a proprio modo: le loro posizioni sono nette come i tre vertici di un triangolo, nella cui area molti si stabiliscono e molti altri si spostano.
   Se il portafogli lo vedrà per primo Jong, il denaro finirà rapidamente nelle sue tasche, il resto in un cestino.
   Negli altri due casi, Yamamoto riavrà il portafogli col denaro. A lui non interesserà granché saperlo, ma le motivazioni psicologiche dell’uno non sono le stesse dell’altro.
   Park crede che appropriarsi di cose altrui sia atto peccaminoso, punito dallo Spirito.
   Martin pensa che quando è possibile risalire al proprietario, sia giusto fargli riavere ciò che ha perso, per i principi di giustizia, di solidarietà, di civiltà su cui si basa la vita sociale del nostro tempo.
   Se, in riferimento alle possibili conclusioni del fatto, Park e Martin si trovano dalla stessa parte e Jong in quella opposta, un altro aspetto accomuna Jong e Martin: nessuno dei due crede in un dio o in un karma, ambedue si attengono alla pura razionalità. Dunque, si direbbe che la ragione non sia universale, come sostiene la maggior parte dei filosofi, che del resto giungono a conclusioni diverse l’uno dall’altro a proposito di eguali argomenti. Tuttavia, la realtà è come un immenso poliedro, e ci si può illudere di averla ben compresa dopo aver visto e misurato solo una o alcune delle sue facce. Martin ha indagato più di Jong, conosce molte più facce del poliedro, perciò, nonostante impieghino lo stesso strumento, i loro comportamenti possono divergere completamente, soprattutto quanto al valore. 
   In questa circostanza, come in altre, le conclusioni della razionalità confermano i sentimenti di chi non si attiene ad essa, se non per la prassi più spicciola. Park è un sincretista, pensa che in tutte le religioni vi sia un “fondo di verità comune”: verità intesa come rivelazione, illuminazione o intuizione soprannaturale, cioè irrazionalmente. Queste “grazie divine”, o lumi spirituali, sono in realtà suggestioni mitiche, simboliche e rituali, spesso capaci di accendere i sentimenti dell’infinito, dell’unità e della giustizia prima che se ne abbia il chiaro concetto. Sono così evitate le ardue imprese della pura e adulta ragione, con il rischio che comportano, quello di fermarsi troppo presto e di sprofondare nelle paludi della crudeltà o dell’angoscia; ciò significa, però, rinunciare ai superiori obiettivi della coscienza, ed è questa un’altra stagnazione.



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