Giardini pubblici di una città.
Un portafogli giace sull’erba, poco distante dal sentiero. All’interno, la
carta d’identità del signor Yamamoto, varie tessere, banconote per trecento
euro. Nei dintorni, passeggiano, ognuno per conto proprio, i signori Jong, Park
e Martin. Il caso vuole che i tre abbiano caratteri ben determinati, ma ciascuno
a proprio modo: le loro posizioni sono nette come i tre vertici di un
triangolo, nella cui area molti si stabiliscono e molti altri si spostano.
Se il portafogli lo vedrà per primo Jong, il
denaro finirà rapidamente nelle sue tasche, il resto in un cestino.
Negli altri due casi, Yamamoto
riavrà il portafogli col denaro. A lui non interesserà granché saperlo, ma le
motivazioni psicologiche dell’uno non sono le stesse dell’altro.
Park crede che appropriarsi di cose altrui
sia atto peccaminoso, punito dallo Spirito.
Martin pensa che quando è possibile risalire
al proprietario, sia giusto fargli riavere ciò che ha perso, per i principi di
giustizia, di solidarietà, di civiltà su cui si basa la vita sociale del nostro
tempo.
Se, in riferimento alle possibili
conclusioni del fatto, Park e Martin si trovano dalla stessa parte e Jong in
quella opposta, un altro aspetto accomuna Jong e Martin: nessuno dei due crede
in un dio o in un karma, ambedue si attengono alla pura razionalità. Dunque, si
direbbe che la ragione non sia universale, come sostiene la maggior parte dei
filosofi, che del resto giungono a conclusioni diverse l’uno dall’altro a
proposito di eguali argomenti. Tuttavia, la realtà è come un immenso poliedro,
e ci si può illudere di averla ben compresa dopo aver visto e misurato solo una
o alcune delle sue facce. Martin ha indagato più di Jong, conosce molte più
facce del poliedro, perciò, nonostante impieghino lo stesso strumento, i loro
comportamenti possono divergere completamente, soprattutto quanto al valore.
In questa circostanza, come in altre, le
conclusioni della razionalità confermano i sentimenti di chi non si attiene ad
essa, se non per la prassi più spicciola. Park è un sincretista, pensa che in
tutte le religioni vi sia un “fondo di verità comune”: verità intesa come
rivelazione, illuminazione o intuizione soprannaturale, cioè irrazionalmente.
Queste “grazie divine”, o lumi spirituali, sono in realtà suggestioni mitiche,
simboliche e rituali, spesso capaci di accendere i sentimenti dell’infinito,
dell’unità e della giustizia prima che se ne abbia il chiaro concetto. Sono
così evitate le ardue imprese della pura e adulta ragione, con il rischio che
comportano, quello di fermarsi troppo presto e di sprofondare nelle paludi della
crudeltà o dell’angoscia; ciò significa, però, rinunciare ai superiori
obiettivi della coscienza, ed è questa un’altra stagnazione.
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